Saturday, August 31, 2013

A jealous mistress

La long-call nell'unita' coronarica/di terapia intensiva e' un po' come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump - non sai mai quello che ti capita.

A me e' capitata una giovane signora senza nessun problema di salute. La mattina si e' presentata al pronto soccorso con un mal di testa. Il work up non ha svelato nessun'anormalita'. Il mal di testa si e' risolto con un antidolorifico. E' stata dimessa con un follow up appointment. Nel pomeriggio il mal di testa e' tornato. Si e' messa sul letto a riposare. Poi il collasso, la chiamata al 118, l'arresto cardiaco, il polso che ritorna, l'arrivo in pronto soccorso, perde il polso una seconda volta, di nuovo le compressioni toraciche e il resto del protocollo, il polso ritorna e questa volta rimane. Arriva da me. Mentre la sistemano, incontro nella sala d'attesa la sua famiglia, suo marito, sua figlia, che mi fa subito una tenerezza infinita, suo figlio, entrambi adolescenti, in apprensione, cari. Parlo con la famiglia, mi faccio raccontare la storia. Prima di lasciarli, accarezzo sul braccio la figlia e apprezzo il suo primo sorriso. Premo il pulsante sul muro e le porte si chiudono dietro di me. Apro la cartella clinica aspettandomi un infarto sull'elettrocardiogramma ma il suo elettrocardiogramma e' normale. Poi un turbine di informazioni si abbatte sulla mia ultima notte in unita', incluso il reading della TAC. Ha un'emorragia cerebrale. In un lampo arriva il neurochirurgo, probabilmente pensando di portarla in sala operatoria. La esaminiamo insieme. E' il mio primo esame neurologico senza alcun riflesso primitivo. Il suo volto sbianca. Probabilmente il mio fa altrettanto. Il gelo ci pietrifica e in quell'immobilita' il nostro sguardo si incrocia e vibra a lungo, intensissimo. Il sangue ha gia' spinto parte del cervello fuori dalla scatola cranica. La mia prima diagnosi di morte cerebrale.

Finisco la notte trascinandomi dietro un'anima paralizzata ed inerme, cercando di ignorare tutte le mie riflessioni. Chiamo l'agenzia per la donazione degli organi. Durante il giro al mattino vedo il marito attraversare l'unita' con la testa ciondolante tra le spalle ricurve. Lui che la notte mi aveva detto "Do your best, please... she is a good girl".

Il mattino precedente il mio attending, che ha i suoi anni e un'umanita' strepitosa, ci aveva raccontato di non riuscire proprio ad andare in pensione perche' medicine is a jealous mistress.

Lo e'. Ti coinvolge. Ti stravolge. Ti riempie l'anima di gioia con ogni lieto fine, ti sorprende con gli affascinanti meccanismi che coordinano le funzioni del nostro corpo, che sembra solo la custodia delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, il mezzo che ci permette di realizzare i nostri hobby e programmi della quotidianita'. E invece e' un raffinatissimo prodotto della natura, progettato secondo i principi della fisica e della chimica, in un equilibrio che ha un ampio margine di errore e recupero ma anche un precario punto di non ritorno. La medicina e' studiare a fondo questi meccanismi, individuare i fattori che allontano l'organismo da questo equilibrio cosi' perfetto e sfruttare i meccanismi di compenso per ripristinare quell'equilibrio, quel sorriso, quella vita. Ma a quanto pare e' anche accettare che a volte la fatalita' irrompe in quest'equilibrio. E lo fa con una velocita' che non lascia nessuno spazio di recupero e lascia soltanto il vuoto in cui le riflessioni cercano un appiglio, le domande cercano risposte, la vita guarisce il dolore e le ferite.

Stanotte, del tutto incapace di riaddormentarmi, pensavo proprio a questo. Pensavo che la morte e' molto spesso un atto di vita che arriva al compimento di un lungo percorso. Altre volte pero' arriva prematura e scardina tutti i progetti di vita, detona una bomba di dolore e strazio che dicono solo il tempo sappia guarire. Il tempo ma, in fondo, se la vita non sapesse essere cosi' pregna e meravigliosa, forse nemmeno il tempo basterebbe. Se la vita non sapesse regalarci quell'intensita' di emozioni struggenti e totalizzanti, inondarci di gioie e sentimenti piu' grandi di noi, probabilmente non riusciremmo mai ad alzarci di nuovo, a rimarginare gli squarci ed avere il coraggio di credere, amare e sognare di nuovo, a ricominciare a fidarci del presente, camminare verso il futuro e seppellire il passato nella serenita'. In un anno di specialita' mi sono rassegnata al fatto che chiedersi i perche' e cercare di spiegare le tragedie e le miserie umane e' e sara' per sempre una grandissima, irrisolvibile perdita di tempo. Invece, la vera risposta e' continuare ad apprezzare ed essere riconoscenti per la mancanza di vere imperfezioni nella nostra vita, scrollarsi rapidamente di dosso una luna storta e non ignorare mai che essere felici e' puramente una scelta, un'attitudine, il nostro sguardo sul mondo.

Perche' a certe persone non sia dato di far conoscere un compagno di vita o un figlio a chi ci ha dato la vita e ci ha amati piu' di qualsiasi altra cosa e come nessun altro, restera' per sempre incomprensibile. Sono pero' grata all'uomo che ho vicino che quando valutavamo se valesse o meno la pena andare in Lussemburgo per un weekend per un matrimonio e con l'occasione per una cena con i miei,  mi ha detto i soldi servono per costruire ricordi.
In fondo il tempo serve per costruire ricordi.
La vita stessa non e' altro che un continuo costruire ricordi.
Ricordi che narrano la nostra storia.
Ricordi che come un inconsapevole meccanismo di difesa costruiscono un album e un appiglio a cui aggrapparsi quando una morte prematura ha la meglio sulla vita.