Saturday, December 14, 2013

Ithaca

Un altro giro di neve, questa volta proprio a ridosso del tanto sospirato rientro a casa, e ora con in valigia una domanda.

Il mese scorso la zia del consorte, che non mi vedeva da tanto tempo, alla fine solamente di una serata insieme, mi ha salutata dicendomi che mi aveva trovata piu' sicura di me stessa. Io sono caduta dalle nuvole. Ovviamente sono consapevole del fatto di essere cresciuta tanto in questi mesi di residency ma, if anything, in questo percorso ho notato di essere diventata piu' cinica e disillusa. Piu' sicura di me stessa proprio non me l'aspettavo... forse la zia non sa che io e la sicurezza siamo da sempre antitetiche, la sicurezza e' una sorta di miraggio onnipresente nella mia vita... 

Ora torno a casa per la prima volta dopo un anno e mezzo, dopo una serie di sfide, di successi, delusioni, fatiche e momenti memorabili. E ora, anche dopo questo commento. E sono curiosa di sentire quello che avra' da dire l'intera family. Di farmi dire da loro, che mi conoscono come nessun altro, chi sono e chi sono diventata ai loro occhi.

Vorrei aver scritto della residency in queste pagine, per poter leggere da me chi ero e chi sono diventata. Per una constatazione, come diciamo noi, "evidence-based". Perche' ormai do per scontato tutto cio' che mi sorprendeva e che ora ha assunto le sembianze della banale normalita'. Perche' non mi ricordo bene cosa cercavo, so solo quello che ho trovato. Non mi ricordo bene chi ero, ma sto studiando chi sono. Perche' spesso mi stupisco di cose che poi, mi torna in mente, erano normali nel mio passato pre-residency. Perche' anche se il traguardo che raggiungiamo e' sempre scolpito in un sostantivo chiaro e univoco fin dall'inizio, il cambiamento che attraversiamo e' sottile e impalpabile, evolve lento e malleabile, lievita sempre un po' misterioso finche' non si manifesta in tutta la sua pienezza. E noi, fino all'ultimo, conosciamo solamente quel nome, quell'obiettivo, ma non sappiamo chi saremo quando lo raggiungeremo, come la nostra personalita', gerarchia di valori, il nostro modo di pensare si staglieranno non piu' nell'immaginazione, ma nela realta'. 

Con il nuovo anno per me arrivera' anche un altro giro di match, il match della fellowhip. E lo sento incalzare inesorabile, con una pressione schiacciante, mentre mi sento ancora in fase di crescita, solo (o gia'!) a meta' della mia residency, ancora imparando l'arte del mestiere. Io, che non so nemmeno chi sono nel presente, devo decidere chi voglio essere nel futuro.

Finora la passione ha dettato le regole e mi ha reso il cammino sempre molto facile perche' davanti a me brillava sempre quel camice in corsia che porta e si prende cura.
Quel camice continua a brillare sempre, nonostante le fatiche, i capelli bianchi, le ore di sonno arretrate, e' sempre li', immacolato, pieno di energia, di sogni, di passione, di grinta, alimentato nella sua pienezza dalla gioia e gratificazione che quel "to take care" porta intrinsecamente con se'. 
Ma non mi bisbiglia quale camice, tra le tante specialita', calzi meglio su di me, sulla mia personalita', sulla donna che voglio essere. Ogni camice non e' solo un ambito della medicina ma porta con se' un peculiarissimo stile di vita, un futuro per tante cose inflessibile e statico. Ed io non so proprio chi voglio essere. Un medico dedito alla sua carriera? Una ricercatrice? Una mamma e moglie che lavora part-time? Una mamma e moglie punto? Una scienziata in laboratorio? Perche' la vera bottom line e' che non posso essere tutto. E su questo mi sono dovuta ricredere. Ho trascorso l'adolescenza ingenuamente pensando che l'amore e la passione fossero gli ingredienti non solo necessari ma anche sufficienti per realizzare tutti gli obiettivi di una vita. Poi il tempo, o forse la realta' americana con i suoi schemi e ritmi bizzarri, mi ha portato a ricredermi. Che anche se ci sono tante ricette per come essere una sfavillante superwoman in formissima tutto il tempo, questa superwoman proprio non esiste, soprattutto nella lunga scadenza. Quello che esiste, almeno in questa parte di mondo, e' una donna che trova il bilancio tra tanti ruoli, che li incastra a piacere, decidendo, serenamente o a malincuore, quanto tempo dedicare a ciasuno di essi, raccogliendo gratificazioni ma anche facendo salti mortali e, ahime', quella parola impronunciabile all'orecchio americano, a mio avviso, tante rinunce. Che, piu' rifletto, piu' mi accorgo che quello che conta veramente non e' fare tutto bene al 100% ma la felicita' del prodotto finale. 

Tuttavia, il prodotto finale e' pur sempre una combinazione di ruoli. E ogni ruolo nasce da una decisione, da un percorso. E piu' cresciamo, piu' e' vasto il ventaglio di possibilita' che si dispiega davanti ad un bivio. E tra le mille strade possibili, dobbiamo scegliere (o forse indovinare?) quale delle tante e' quella giusta, quella migliore. Sempre ammesso che ci sia una strada giusta a priori. Mi piace credere che piuttosto dipende da quello che noi facciamo di ogni strada. Credo fermamente che la felicita' sia una scelta. Ma una scelta nel quotidiano. Nella lunga scadenza, oltre all'ottimismo, c'e' pur sempre bisogno di un po' di saggezza e lungimiranza. Che per quanto apparentemente si incontrino nella contentezza, c'e' pur sempre una differenza tra l'amarezza dell'accettazione, la serenita' dell'accontentarsi e la purezza, seppur effimera, della felicita'. Quando una sola decisione porta a strade, scelte di vite, tipologie di vite cosi' diverse, mi sembra un po' irresponsabile ed immaturo, invece che scegliere spianandomi la strada per i progetti futuri, semplicemente pensare che in un modo o nell'altro it will work out. 

In ogni caso, potrei scrivere per ore delle mie riflessioni. Ma piuttosto concludo con una poesia di Cavafy in cui mi sono imbattuta qualche giorno fa.



Ithaka

As you set out for Ithaka
hope the voyage is a long one,
full of adventure, full of discovery.
Laistrygonians and Cyclops,
angry Poseidon—don’t be afraid of them:
you’ll never find things like that on your way
as long as you keep your thoughts raised high,
as long as a rare excitement
stirs your spirit and your body.
Laistrygonians and Cyclops,
wild Poseidon—you won’t encounter them
unless you bring them along inside your soul,
unless your soul sets them up in front of you.

Hope the voyage is a long one.
May there be many a summer morning when,
with what pleasure, what joy,
you come into harbors seen for the first time;
may you stop at Phoenician trading stations
to buy fine things,
mother of pearl and coral, amber and ebony,
sensual perfume of every kind—
as many sensual perfumes as you can;
and may you visit many Egyptian cities
to gather stores of knowledge from their scholars.

Keep Ithaka always in your mind.
Arriving there is what you are destined for.
But do not hurry the journey at all.
Better if it lasts for years,
so you are old by the time you reach the island,
wealthy with all you have gained on the way,
not expecting Ithaka to make you rich.

Ithaka gave you the marvelous journey.
Without her you would not have set out.
She has nothing left to give you now.

And if you find her poor, Ithaka won’t have fooled you.
Wise as you will have become, so full of experience,
you will have understood by then what these Ithakas mean.


Mi e' piaciuta tantissimo questa poesia. Non mi aiuta affatto a prendere la nuova decisione. Non mi guida nel capire chi voglio essere. Ma mi da tanta fiducia che trovero' la mia strada.

In ogni caso, qui i fiocchi scendono che e' un piacere. E mi fanno assaporare la dolcezza di quando riabbraccero', uno dopo l'altro, tutti quanti, stretti, strettissimi; quella gioia, irriproducibile altrove, che mi aspetta a casa... finche' dura, che c'e' pur sempre un aereo che attende di riportarmi in questa palestra di vita, in pista per trovare la risposta che aprira' le danze della nuova avventura.

E prima di pubblicare questo lunghissimo post, le renne che traineranno la slitta di Babbo Natale... quando si dice che a NY c'e' proprio tutto...



Tuesday, November 12, 2013

Una mattina... con i fiocchi

La prima neve non lascia mai indifferenti.

Anche se e' solo una spolverata, bagnata, fredda e vorticosa, sugli alberi con ancora le foglie multicolore.

Anche se e' gia' finita.

Ha lasciato dietro di se' un'anima colma di attesa che arrivi presto quella data in cui il mio biglietto aereo mi riportera' finalmente a casa.

E intanto la prima canzone di Natale riempie questa mattina lenta...

...though hope is frail, it's hard to kill...

ed e' ricominciato a nevicare...

Monday, September 2, 2013

A te che hai risposto alla mia carezza con un sorriso, che mi hai dato la gioia di sapere che per un attimo fuggente sono riuscita ad accarezzarti anche il cuore, a te che hai una mamma alla quale tra poco staccheranno i tubi che ancora la tengono qui per te, perche' tu la possa vedere, perche' tu la possa toccare, perche' tu la possa stringere ancora una volta, a te che non so cosa tu stia provando, soltanto immaginarlo mi sconquassa l'anima, mi fa male e mi spegne dentro...
... ti auguro solamente che d'ora in poi la vita sia buona e generosa per il resto dei tuoi giorni. 

Saturday, August 31, 2013

A jealous mistress

La long-call nell'unita' coronarica/di terapia intensiva e' un po' come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump - non sai mai quello che ti capita.

A me e' capitata una giovane signora senza nessun problema di salute. La mattina si e' presentata al pronto soccorso con un mal di testa. Il work up non ha svelato nessun'anormalita'. Il mal di testa si e' risolto con un antidolorifico. E' stata dimessa con un follow up appointment. Nel pomeriggio il mal di testa e' tornato. Si e' messa sul letto a riposare. Poi il collasso, la chiamata al 118, l'arresto cardiaco, il polso che ritorna, l'arrivo in pronto soccorso, perde il polso una seconda volta, di nuovo le compressioni toraciche e il resto del protocollo, il polso ritorna e questa volta rimane. Arriva da me. Mentre la sistemano, incontro nella sala d'attesa la sua famiglia, suo marito, sua figlia, che mi fa subito una tenerezza infinita, suo figlio, entrambi adolescenti, in apprensione, cari. Parlo con la famiglia, mi faccio raccontare la storia. Prima di lasciarli, accarezzo sul braccio la figlia e apprezzo il suo primo sorriso. Premo il pulsante sul muro e le porte si chiudono dietro di me. Apro la cartella clinica aspettandomi un infarto sull'elettrocardiogramma ma il suo elettrocardiogramma e' normale. Poi un turbine di informazioni si abbatte sulla mia ultima notte in unita', incluso il reading della TAC. Ha un'emorragia cerebrale. In un lampo arriva il neurochirurgo, probabilmente pensando di portarla in sala operatoria. La esaminiamo insieme. E' il mio primo esame neurologico senza alcun riflesso primitivo. Il suo volto sbianca. Probabilmente il mio fa altrettanto. Il gelo ci pietrifica e in quell'immobilita' il nostro sguardo si incrocia e vibra a lungo, intensissimo. Il sangue ha gia' spinto parte del cervello fuori dalla scatola cranica. La mia prima diagnosi di morte cerebrale.

Finisco la notte trascinandomi dietro un'anima paralizzata ed inerme, cercando di ignorare tutte le mie riflessioni. Chiamo l'agenzia per la donazione degli organi. Durante il giro al mattino vedo il marito attraversare l'unita' con la testa ciondolante tra le spalle ricurve. Lui che la notte mi aveva detto "Do your best, please... she is a good girl".

Il mattino precedente il mio attending, che ha i suoi anni e un'umanita' strepitosa, ci aveva raccontato di non riuscire proprio ad andare in pensione perche' medicine is a jealous mistress.

Lo e'. Ti coinvolge. Ti stravolge. Ti riempie l'anima di gioia con ogni lieto fine, ti sorprende con gli affascinanti meccanismi che coordinano le funzioni del nostro corpo, che sembra solo la custodia delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, il mezzo che ci permette di realizzare i nostri hobby e programmi della quotidianita'. E invece e' un raffinatissimo prodotto della natura, progettato secondo i principi della fisica e della chimica, in un equilibrio che ha un ampio margine di errore e recupero ma anche un precario punto di non ritorno. La medicina e' studiare a fondo questi meccanismi, individuare i fattori che allontano l'organismo da questo equilibrio cosi' perfetto e sfruttare i meccanismi di compenso per ripristinare quell'equilibrio, quel sorriso, quella vita. Ma a quanto pare e' anche accettare che a volte la fatalita' irrompe in quest'equilibrio. E lo fa con una velocita' che non lascia nessuno spazio di recupero e lascia soltanto il vuoto in cui le riflessioni cercano un appiglio, le domande cercano risposte, la vita guarisce il dolore e le ferite.

Stanotte, del tutto incapace di riaddormentarmi, pensavo proprio a questo. Pensavo che la morte e' molto spesso un atto di vita che arriva al compimento di un lungo percorso. Altre volte pero' arriva prematura e scardina tutti i progetti di vita, detona una bomba di dolore e strazio che dicono solo il tempo sappia guarire. Il tempo ma, in fondo, se la vita non sapesse essere cosi' pregna e meravigliosa, forse nemmeno il tempo basterebbe. Se la vita non sapesse regalarci quell'intensita' di emozioni struggenti e totalizzanti, inondarci di gioie e sentimenti piu' grandi di noi, probabilmente non riusciremmo mai ad alzarci di nuovo, a rimarginare gli squarci ed avere il coraggio di credere, amare e sognare di nuovo, a ricominciare a fidarci del presente, camminare verso il futuro e seppellire il passato nella serenita'. In un anno di specialita' mi sono rassegnata al fatto che chiedersi i perche' e cercare di spiegare le tragedie e le miserie umane e' e sara' per sempre una grandissima, irrisolvibile perdita di tempo. Invece, la vera risposta e' continuare ad apprezzare ed essere riconoscenti per la mancanza di vere imperfezioni nella nostra vita, scrollarsi rapidamente di dosso una luna storta e non ignorare mai che essere felici e' puramente una scelta, un'attitudine, il nostro sguardo sul mondo.

Perche' a certe persone non sia dato di far conoscere un compagno di vita o un figlio a chi ci ha dato la vita e ci ha amati piu' di qualsiasi altra cosa e come nessun altro, restera' per sempre incomprensibile. Sono pero' grata all'uomo che ho vicino che quando valutavamo se valesse o meno la pena andare in Lussemburgo per un weekend per un matrimonio e con l'occasione per una cena con i miei,  mi ha detto i soldi servono per costruire ricordi.
In fondo il tempo serve per costruire ricordi.
La vita stessa non e' altro che un continuo costruire ricordi.
Ricordi che narrano la nostra storia.
Ricordi che come un inconsapevole meccanismo di difesa costruiscono un album e un appiglio a cui aggrapparsi quando una morte prematura ha la meglio sulla vita.

Friday, March 15, 2013

March 15th, 2013

... un anno esatto dal giorno in cui, con il fiato sospeso e il batticuore, attendevo l'esito del match...

Un anno stra-ricco di emozioni, di storie che si sono intrecciate con la mia, di difficolta' e di soddisfazioni che instancabilmente si sono date il cambio notte e giorno, di tante prime volte che ancora non posso credere quanto ho imparato in cosi' poco tempo.

Un  anno emotivamente importante, in cui ho toccato con mano la vita e la morte. Non sapevo nemmeno cosa fosse la morte. Poi un giorno mi ha portato via, senza preavviso, un paziente. E ho sofferto tanto.

Un anno in cui sono cresciuta, credo di avere acquisito una consapevolezza della vita che non e' mai abbastanza ma e' molto piu' grande, piu' cruda e piu' concreta di quella che avevo il primo giorno che mi sono infilata il camice.

Un anno indimenticabile per tutti i momenti d'oro che i miei pazienti mi hanno saputo regalare. Loro che sono la ricchezza piu' grande, il motivo di gioia piu' inesauribile che io possa trovare nel mio lavoro, la fonte di energia che mi permette di funzionare anche alla fine di una giornata altrimenti troppo lunga. Loro che imprimono ricordi memorabili nel cuore e che ogni giorno dimostrano la grandezza dello spirito umano con le loro storie, la loro fiducia, i loro successi e i loro drammi, e anche con quelle loro domande a cui non so rispondere a parole ma che mi limito a consolare in un abbraccio stretto, caldo e sincero. I miei pazienti che diventano ogni giorno parte di me. Mi sono sempre chiesta come i medici di base potessero ricordarsi la storia di ogni paziente. Ora ho la risposta. E' come nell'amicizia. Non si e' mai sentito che uno abbia troppi amici per ricordarsi la storia di tutti. E' un po' la stessa cosa. E, a pensarci bene, forse, le conversazioni piu' profonde e significative che ho avuto finora sono state con i miei pazienti piu' che con i miei colleghi. 

E poi c'e' una cosa che non smette mai "to make my day". Quando al mattino faccio il mio giro, chiedo a un paziente come sta e lui mi risponde "Fine, thanks. And you, doc?". E con quel "And you, doc?" inizio sempre il giorno con una marcia in piu'!

Wednesday, March 13, 2013

Cold feet

Lavoro 80 ore alla settimana.

Quando lavoro a tempo pieno, tutto e' perfetto e sono felice.

Poi ci sono i mesi piu' leggeri come questo, durante i quali, quando mi sfilo il camice, mi sfilo anche la gioia che ho dentro e constato quanto fragile e ancora da costruire sia la mia vita a NY. 

Quanto mi manchino gli affetti di cui ho fatto tesoro nel corso degli anni.

Le email in arrivo mi fanno sentire che le parole senza un volto, senza un tocco, non colmano ma alimentano una mancanza.

Mi cade involontariamente l'occhio sul prezzo che devo pagare per la realizzazione dei miei sogni.

E la forza che ho costruito dentro di me negli anni si sgretola. 

Rimango sola con l'incertezza che questa scelta (non) sia fattibile nella lunga scadenza. 

Con il pensiero che diviene sempre piu' consapevolezza che forse la famiglia e l'amicizia sono molto piu' grandi e necessari di qualsiasi altro sogno.

Saturday, February 2, 2013

All over again.

Amo tutto quello che accompagna trasferirsi in una nuova citta': passeggiare con una mappa in mano e lentamente sostituire tutte quelle forme geometriche disegnate con la bellezza dei palazzi e delle strade, emozionarsi davanti ad angoli e scorci che annunciano che anche il nuovo posto puo' diventare casa. Amo fare mille fotografie per poi confrontarle e rivedere la stessa citta' attraverso gli occhi del tempo e del cambiamento perennemente in atto durante questi nuovi inizi. Amo curiosare tra abitudini e stili di vita e fare tesoro di quelli che apprezzo. Soprattutto, amo sentirmi parte di una nuova avventura, lasciare un presente stabile e solido scivolare via alle spalle e cedere la scena ad una quotidanita' tutta da ricreare.

In tutto questo all over again pero' regolarmente mi pesa l'assenza di un numero di telefono nel cellulare da chiamare per prendere un caffe', per scaldarsi il cuore con chiacchiere che affondano in occhi familiari. Mi manca trascorrere del tempo in compagnia di nuove persone e poi tornare a casa piu' felice riconoscendo nel cuore quell'emozione che ti sussurra che forse si', una nuova amicizia sta nascendo.

Qui ho conosciuto tantissime persone. Insieme trascorriamo momenti piacevoli e divertenti. Sto bene. Rido. Torno a casa serena. Ma mi manca sentire la scintilla che scocca, la scintilla che ti annuncia che state andando oltre, piu' in profondita', che vi state scambiando la fiducia, che state aprendo la vostra vulnerabilita'.
Di certo la spiegazione piu' realistica e' che ciascuno di noi lavora una media di 14-15 ore al giorno 6 giorni su 7, per cui rimane ben poco tempo per investire in tutto il resto. E quando c'e' il tempo, manca proprio l'energia e lo si dedica agli affetti piu' cari. Pero' a volte mi sento proprio impaziente.
Tutti dicono che durante la residency costruisci le amicizie che durano una vita.
Spero sia cosi' anche per noi.

E intanto questa sera vengono a cena due nuovi amici di Matthew.

... I'm holding my breath...