Sunday, December 7, 2014

Epilogo

Pookelina e' nato con l'idea di ricambiare la compagnia di alcuni bloggers che con la loro simpatia e profondita' mi richiamavano quotidianamente tra le loro pagine. Inizialmente pensavo avrei scritto della mia vita a Seattle. Nel tempo, queste pagine sono diventate anche la storia di un sogno.

E' un sogno antico quanto i miei primi ricordi, quando la sera vedevo il mio papa' rientrare a casa felice e gratificato dal suo lavoro. La sua passione era inesauribile e palpabile e faceva scintillare ancora di piu' la grandezza e nobilta' del suo animo. La sua grande umilta'.
Fin da piccolina ho sentito di essere animata dalla stessa grande passione ed e' uno dei doni piu' grandi che io potessi ereditare. Sono cresciuta sognando che da grande mi sarei presa cura della mia passione. Sono cresciuta sognando che da grande mi sarei presa cura delle persone.

Non ricordo se fosse il 2004 o il 2005. Ma ricordo quel pomeriggio come uno tra i piu' preziosi della mia vita. Quel pomeriggio, nelle aule della vecchia clinica medica di Bologna, ho trovato me stessa. Ho trovato finalmente la mia strada. A mia insaputa.
Un professore ci raccontava la storia della arteriosclerosi ed io, frase dopo frase, passaggio dopo passaggio, freccia dopo freccia, ero incantata dalla patofisiologia di quella storia e dalla padronanza con cui questo brillante professore ce la raccontava. Proprio come piace a me: ogni malattia non e' una serie mnemonica di sintomi ma la storia di qualche meccanismo che e' andato storto. Mi ero chiesta tante volte con chi avrei scritto la tesi di laurea e pensarci in astratto non era mai stato produttivo. Durante quella lezione ho sentito il tanto sospirato click. E il sogno che avevo cullato fin da bambina ha cominciato a battere tra le mie mani, a battere le sue ali e a prepararsi a guidare le redini della mia storia.

Di per se' sono molto timida e tendo a trovare mille scuse "per non". Quel pomeriggio non ho avuto modo di inventare una delle tante scuse che gia' bussavo alla porta di questo professore. Abbiamo parlato forse una mezz'oretta, forse piu' a lungo. Ricordo una grande sintonia. Sintonia di pensiero e obiettivi. Da quella sintonia e' nato un entusiasmo. E da quell'entusiasmo un progetto. Un viaggio. Quel pomeriggio e' nato il mio viaggio. Il viaggio dentro di me. Il viaggio a bordo del mio sogno.

Ricordo il saluto in aeroporto. Io con valigie e progetti piu' grandi di me. Io che salutavo la mia famiglia senza bene sapere cosa stesse per succedere. Sapevo che avevo un biglietto aereo. Sapevo che avrei sorvolato l'oceano per ore. Sapevo che sarei atterrata in America. Ma poi? Non sapevo cosa sarebbe successo. Sapevo solo che il mio migliore amico di allora mi aveva detto che lui in America non sarebbe mai potuto vivere perche' a lui la societa' americana non piaceva. E quella era la spiegazione, nessun'altra ragione piu' specifica. Solo un "Vedrai". Io cercavo di immaginarmi come un intero paese potesse non piacere. Sfidavo la mia immaginazione con la mia ingenuita'. Ero intimorita e fiduciosa allo stesso tempo. Ero titubante e carica per questa nuova avventura. Ero pronta a lasciarmi sfidare e sorprendere dalla vita.

Una volta oltreoceano la prima cosa che mi colpi' furono le bandiere: bandiere a stelle e strisce ovunque, sui porch, sui tetti, sui balconi, nei giardini di ogni casetta. Poi ne sono seguite tante altre di cose che mi hanno stupito, in positivo e in negativo. Negli anni ho capito cosa intendeva il mio migliore amico. Potrei elencare una lista lunghissima di cose che non mi piacciono della societa' americana. Ma non importa quanto questa lista sia lunga. Perche' l'America ha qualcosa che per me e' ineguagliabile e preziosissimo. Qualcosa che ho rincorso una vita intera e che ho scoperto quando sono sbarcata qui per la prima volta. Non sapendo bene come definirla, nel mio vocabolario io l'ho battezzata accademia.

L'accademia e' un posto per me, almeno in astratto, sacro. E' il posto dove le persone parlano la mia lingua, non importa quale sia la loro nazionalita'. E' un tempio dove il biglietto e' il sogno immenso di fare la differenza. Di fare qualcosa di significativo con la propria vita. Di lasciare un mondo migliore. E' un mondo che attira persone che hanno non solo dei sogni ma anche il coraggio di crederci. Io identifico l'accademia nel mondo della mentorship. Dei talenti che sbocciano. Delle passioni che palpitano. Dei grandi romanzi e delle poesie. Dei grandi valori e degli ideali. Della grandezza umana che fa storia. Delle opere d'arte e della musica. L'accademia e' il mio rifugio, la pace con me stessa, una sorta di biblioteca, maestosa e silenziosa, per i miei sogni e pensieri. Il mondo dell'accademia l'ho desiderato per una vita intera. Nell'accademia ho trovato il mio posto nel mondo.

Dal mio primo incontro con l'accademia nel 2005, il resto della storia e' custodita in queste pagine. Fino al suo epilogo. Il 3 dicembre.

Il 3 dicembre 2014 e' un giorno che ho aspettato con il fiato sospeso.
L'ho aspettato inconsciamente per dieci anni.
La notte prima l'ho passata in bianco.
La mattina sembrava interminabile. Poi i miei pazienti mi hanno distratta. Fino alle 11.49.
Alle 11.49 sono corsa a casa.
Il cuore in gola.
La paura di una delusione.
Ancora piu' grande, la paura che questo grande sogno, iniziato dieci anni fa tra i banchi nelle aule ad anfiteatro di Bologna, stesse per avverarsi.
Alle 12 l'esito.

Questo sogno si e' avverato.

Dieci anni dopo questo sogno si e' avverato.
Nonostante il marchio indelebile dell'international medical graduate.
Dopo aver lasciato la mia famiglia che e' il dono piu' grande che io abbia mai ricevuto dalla vita. Dopo aver imposto il sacrificio della distanza e degli abbracci virtuali su skype alle persone che mi amano piu' di chiunque altro.
Dopo essermi chiesta un'infinita' di volte se un giorno mi pentiro', quando sara' troppo tardi, quando le persone che mi hanno messa sempre al primo posto e hanno assecondato ogni mia scelta offrendomi sostegno e amore non ci saranno piu'.
Dopo aver chiesto ad un marito di venire qui, in questa casa, in questo posto che mi ha cambiata per sempre, che mi ha segnata nel profondo, che ha scolpito in me nuovi tratti, nuovi pensieri, nuovi punti di vista, qui dove non avrei mai pensato di mettere piede in vita mia e che e' invece diventato la mia casa, la mia vita, la mia quotidianita'. Questo e' il nostro terzo anno nel Bronx.

Dieci anni dopo, il primo luglio 2015 iniziero' la mia nuova specializzazione.
L'ultimo blocco di training. Non un blocco qualsiasi.  Il piu' importante di tutti. Questa volta mi insegneranno quello che faro' per il resto dei miei giorni.
E' la cura che offriro' ai miei pazienti.
E' la conoscenza che offriro' ai miei colleghi.
E' l'esperienza che offriro' ai miei studenti.

Dieci anni dopo ritorno nell'accademia.
E questa volta so che il mio posto me lo sono guadagnata.
Questa volta non e' solamente un regalo da un professore.
Questa volta e' una conquista, la conquista di un sogno cresciuto con me.
Questa volta e' il ricordo di una bambina che la sera correva nell'ingresso in pigiama a salutare il papa' e ora ritornera' a casa donna con tra le mani una realta' ancora piu' immacolata di quanto avesse mai potuto concepire ed immaginare.
Questo sogno adesso ha un nome.
Si chiama Harvard.

Tuesday, December 2, 2014

Match Day mood


Two [or nine] roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;
Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear

Wednesday, August 13, 2014

Grazie



Quando scrivevo regolarmente, tante volte mi sono chiesta se valesse veramente la pena aprirmi in questo blog silenzioso e mai decollato.



A volte pero' arrivano pensieri che mi raccontano di sogni tremolanti che hanno trovato ispirazione e coraggio in queste pagine, desideri ancora informi che avevano solo bisogno di una spintarella, di un cenno di capo, di un po' di fiducia e rassicurazione.



E la gratitudine e' tutta mia.

Saturday, December 14, 2013

Ithaca

Un altro giro di neve, questa volta proprio a ridosso del tanto sospirato rientro a casa, e ora con in valigia una domanda.

Il mese scorso la zia del consorte, che non mi vedeva da tanto tempo, alla fine solamente di una serata insieme, mi ha salutata dicendomi che mi aveva trovata piu' sicura di me stessa. Io sono caduta dalle nuvole. Ovviamente sono consapevole del fatto di essere cresciuta tanto in questi mesi di residency ma, if anything, in questo percorso ho notato di essere diventata piu' cinica e disillusa. Piu' sicura di me stessa proprio non me l'aspettavo... forse la zia non sa che io e la sicurezza siamo da sempre antitetiche, la sicurezza e' una sorta di miraggio onnipresente nella mia vita... 

Ora torno a casa per la prima volta dopo un anno e mezzo, dopo una serie di sfide, di successi, delusioni, fatiche e momenti memorabili. E ora, anche dopo questo commento. E sono curiosa di sentire quello che avra' da dire l'intera family. Di farmi dire da loro, che mi conoscono come nessun altro, chi sono e chi sono diventata ai loro occhi.

Vorrei aver scritto della residency in queste pagine, per poter leggere da me chi ero e chi sono diventata. Per una constatazione, come diciamo noi, "evidence-based". Perche' ormai do per scontato tutto cio' che mi sorprendeva e che ora ha assunto le sembianze della banale normalita'. Perche' non mi ricordo bene cosa cercavo, so solo quello che ho trovato. Non mi ricordo bene chi ero, ma sto studiando chi sono. Perche' spesso mi stupisco di cose che poi, mi torna in mente, erano normali nel mio passato pre-residency. Perche' anche se il traguardo che raggiungiamo e' sempre scolpito in un sostantivo chiaro e univoco fin dall'inizio, il cambiamento che attraversiamo e' sottile e impalpabile, evolve lento e malleabile, lievita sempre un po' misterioso finche' non si manifesta in tutta la sua pienezza. E noi, fino all'ultimo, conosciamo solamente quel nome, quell'obiettivo, ma non sappiamo chi saremo quando lo raggiungeremo, come la nostra personalita', gerarchia di valori, il nostro modo di pensare si staglieranno non piu' nell'immaginazione, ma nela realta'. 

Con il nuovo anno per me arrivera' anche un altro giro di match, il match della fellowhip. E lo sento incalzare inesorabile, con una pressione schiacciante, mentre mi sento ancora in fase di crescita, solo (o gia'!) a meta' della mia residency, ancora imparando l'arte del mestiere. Io, che non so nemmeno chi sono nel presente, devo decidere chi voglio essere nel futuro.

Finora la passione ha dettato le regole e mi ha reso il cammino sempre molto facile perche' davanti a me brillava sempre quel camice in corsia che porta e si prende cura.
Quel camice continua a brillare sempre, nonostante le fatiche, i capelli bianchi, le ore di sonno arretrate, e' sempre li', immacolato, pieno di energia, di sogni, di passione, di grinta, alimentato nella sua pienezza dalla gioia e gratificazione che quel "to take care" porta intrinsecamente con se'. 
Ma non mi bisbiglia quale camice, tra le tante specialita', calzi meglio su di me, sulla mia personalita', sulla donna che voglio essere. Ogni camice non e' solo un ambito della medicina ma porta con se' un peculiarissimo stile di vita, un futuro per tante cose inflessibile e statico. Ed io non so proprio chi voglio essere. Un medico dedito alla sua carriera? Una ricercatrice? Una mamma e moglie che lavora part-time? Una mamma e moglie punto? Una scienziata in laboratorio? Perche' la vera bottom line e' che non posso essere tutto. E su questo mi sono dovuta ricredere. Ho trascorso l'adolescenza ingenuamente pensando che l'amore e la passione fossero gli ingredienti non solo necessari ma anche sufficienti per realizzare tutti gli obiettivi di una vita. Poi il tempo, o forse la realta' americana con i suoi schemi e ritmi bizzarri, mi ha portato a ricredermi. Che anche se ci sono tante ricette per come essere una sfavillante superwoman in formissima tutto il tempo, questa superwoman proprio non esiste, soprattutto nella lunga scadenza. Quello che esiste, almeno in questa parte di mondo, e' una donna che trova il bilancio tra tanti ruoli, che li incastra a piacere, decidendo, serenamente o a malincuore, quanto tempo dedicare a ciasuno di essi, raccogliendo gratificazioni ma anche facendo salti mortali e, ahime', quella parola impronunciabile all'orecchio americano, a mio avviso, tante rinunce. Che, piu' rifletto, piu' mi accorgo che quello che conta veramente non e' fare tutto bene al 100% ma la felicita' del prodotto finale. 

Tuttavia, il prodotto finale e' pur sempre una combinazione di ruoli. E ogni ruolo nasce da una decisione, da un percorso. E piu' cresciamo, piu' e' vasto il ventaglio di possibilita' che si dispiega davanti ad un bivio. E tra le mille strade possibili, dobbiamo scegliere (o forse indovinare?) quale delle tante e' quella giusta, quella migliore. Sempre ammesso che ci sia una strada giusta a priori. Mi piace credere che piuttosto dipende da quello che noi facciamo di ogni strada. Credo fermamente che la felicita' sia una scelta. Ma una scelta nel quotidiano. Nella lunga scadenza, oltre all'ottimismo, c'e' pur sempre bisogno di un po' di saggezza e lungimiranza. Che per quanto apparentemente si incontrino nella contentezza, c'e' pur sempre una differenza tra l'amarezza dell'accettazione, la serenita' dell'accontentarsi e la purezza, seppur effimera, della felicita'. Quando una sola decisione porta a strade, scelte di vite, tipologie di vite cosi' diverse, mi sembra un po' irresponsabile ed immaturo, invece che scegliere spianandomi la strada per i progetti futuri, semplicemente pensare che in un modo o nell'altro it will work out. 

In ogni caso, potrei scrivere per ore delle mie riflessioni. Ma piuttosto concludo con una poesia di Cavafy in cui mi sono imbattuta qualche giorno fa.



Ithaka

As you set out for Ithaka
hope the voyage is a long one,
full of adventure, full of discovery.
Laistrygonians and Cyclops,
angry Poseidon—don’t be afraid of them:
you’ll never find things like that on your way
as long as you keep your thoughts raised high,
as long as a rare excitement
stirs your spirit and your body.
Laistrygonians and Cyclops,
wild Poseidon—you won’t encounter them
unless you bring them along inside your soul,
unless your soul sets them up in front of you.

Hope the voyage is a long one.
May there be many a summer morning when,
with what pleasure, what joy,
you come into harbors seen for the first time;
may you stop at Phoenician trading stations
to buy fine things,
mother of pearl and coral, amber and ebony,
sensual perfume of every kind—
as many sensual perfumes as you can;
and may you visit many Egyptian cities
to gather stores of knowledge from their scholars.

Keep Ithaka always in your mind.
Arriving there is what you are destined for.
But do not hurry the journey at all.
Better if it lasts for years,
so you are old by the time you reach the island,
wealthy with all you have gained on the way,
not expecting Ithaka to make you rich.

Ithaka gave you the marvelous journey.
Without her you would not have set out.
She has nothing left to give you now.

And if you find her poor, Ithaka won’t have fooled you.
Wise as you will have become, so full of experience,
you will have understood by then what these Ithakas mean.


Mi e' piaciuta tantissimo questa poesia. Non mi aiuta affatto a prendere la nuova decisione. Non mi guida nel capire chi voglio essere. Ma mi da tanta fiducia che trovero' la mia strada.

In ogni caso, qui i fiocchi scendono che e' un piacere. E mi fanno assaporare la dolcezza di quando riabbraccero', uno dopo l'altro, tutti quanti, stretti, strettissimi; quella gioia, irriproducibile altrove, che mi aspetta a casa... finche' dura, che c'e' pur sempre un aereo che attende di riportarmi in questa palestra di vita, in pista per trovare la risposta che aprira' le danze della nuova avventura.

E prima di pubblicare questo lunghissimo post, le renne che traineranno la slitta di Babbo Natale... quando si dice che a NY c'e' proprio tutto...



Tuesday, November 12, 2013

Una mattina... con i fiocchi

La prima neve non lascia mai indifferenti.

Anche se e' solo una spolverata, bagnata, fredda e vorticosa, sugli alberi con ancora le foglie multicolore.

Anche se e' gia' finita.

Ha lasciato dietro di se' un'anima colma di attesa che arrivi presto quella data in cui il mio biglietto aereo mi riportera' finalmente a casa.

E intanto la prima canzone di Natale riempie questa mattina lenta...

...though hope is frail, it's hard to kill...

ed e' ricominciato a nevicare...

Monday, September 2, 2013

A te che hai risposto alla mia carezza con un sorriso, che mi hai dato la gioia di sapere che per un attimo fuggente sono riuscita ad accarezzarti anche il cuore, a te che hai una mamma alla quale tra poco staccheranno i tubi che ancora la tengono qui per te, perche' tu la possa vedere, perche' tu la possa toccare, perche' tu la possa stringere ancora una volta, a te che non so cosa tu stia provando, soltanto immaginarlo mi sconquassa l'anima, mi fa male e mi spegne dentro...
... ti auguro solamente che d'ora in poi la vita sia buona e generosa per il resto dei tuoi giorni. 

Saturday, August 31, 2013

A jealous mistress

La long-call nell'unita' coronarica/di terapia intensiva e' un po' come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump - non sai mai quello che ti capita.

A me e' capitata una giovane signora senza nessun problema di salute. La mattina si e' presentata al pronto soccorso con un mal di testa. Il work up non ha svelato nessun'anormalita'. Il mal di testa si e' risolto con un antidolorifico. E' stata dimessa con un follow up appointment. Nel pomeriggio il mal di testa e' tornato. Si e' messa sul letto a riposare. Poi il collasso, la chiamata al 118, l'arresto cardiaco, il polso che ritorna, l'arrivo in pronto soccorso, perde il polso una seconda volta, di nuovo le compressioni toraciche e il resto del protocollo, il polso ritorna e questa volta rimane. Arriva da me. Mentre la sistemano, incontro nella sala d'attesa la sua famiglia, suo marito, sua figlia, che mi fa subito una tenerezza infinita, suo figlio, entrambi adolescenti, in apprensione, cari. Parlo con la famiglia, mi faccio raccontare la storia. Prima di lasciarli, accarezzo sul braccio la figlia e apprezzo il suo primo sorriso. Premo il pulsante sul muro e le porte si chiudono dietro di me. Apro la cartella clinica aspettandomi un infarto sull'elettrocardiogramma ma il suo elettrocardiogramma e' normale. Poi un turbine di informazioni si abbatte sulla mia ultima notte in unita', incluso il reading della TAC. Ha un'emorragia cerebrale. In un lampo arriva il neurochirurgo, probabilmente pensando di portarla in sala operatoria. La esaminiamo insieme. E' il mio primo esame neurologico senza alcun riflesso primitivo. Il suo volto sbianca. Probabilmente il mio fa altrettanto. Il gelo ci pietrifica e in quell'immobilita' il nostro sguardo si incrocia e vibra a lungo, intensissimo. Il sangue ha gia' spinto parte del cervello fuori dalla scatola cranica. La mia prima diagnosi di morte cerebrale.

Finisco la notte trascinandomi dietro un'anima paralizzata ed inerme, cercando di ignorare tutte le mie riflessioni. Chiamo l'agenzia per la donazione degli organi. Durante il giro al mattino vedo il marito attraversare l'unita' con la testa ciondolante tra le spalle ricurve. Lui che la notte mi aveva detto "Do your best, please... she is a good girl".

Il mattino precedente il mio attending, che ha i suoi anni e un'umanita' strepitosa, ci aveva raccontato di non riuscire proprio ad andare in pensione perche' medicine is a jealous mistress.

Lo e'. Ti coinvolge. Ti stravolge. Ti riempie l'anima di gioia con ogni lieto fine, ti sorprende con gli affascinanti meccanismi che coordinano le funzioni del nostro corpo, che sembra solo la custodia delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, il mezzo che ci permette di realizzare i nostri hobby e programmi della quotidianita'. E invece e' un raffinatissimo prodotto della natura, progettato secondo i principi della fisica e della chimica, in un equilibrio che ha un ampio margine di errore e recupero ma anche un precario punto di non ritorno. La medicina e' studiare a fondo questi meccanismi, individuare i fattori che allontano l'organismo da questo equilibrio cosi' perfetto e sfruttare i meccanismi di compenso per ripristinare quell'equilibrio, quel sorriso, quella vita. Ma a quanto pare e' anche accettare che a volte la fatalita' irrompe in quest'equilibrio. E lo fa con una velocita' che non lascia nessuno spazio di recupero e lascia soltanto il vuoto in cui le riflessioni cercano un appiglio, le domande cercano risposte, la vita guarisce il dolore e le ferite.

Stanotte, del tutto incapace di riaddormentarmi, pensavo proprio a questo. Pensavo che la morte e' molto spesso un atto di vita che arriva al compimento di un lungo percorso. Altre volte pero' arriva prematura e scardina tutti i progetti di vita, detona una bomba di dolore e strazio che dicono solo il tempo sappia guarire. Il tempo ma, in fondo, se la vita non sapesse essere cosi' pregna e meravigliosa, forse nemmeno il tempo basterebbe. Se la vita non sapesse regalarci quell'intensita' di emozioni struggenti e totalizzanti, inondarci di gioie e sentimenti piu' grandi di noi, probabilmente non riusciremmo mai ad alzarci di nuovo, a rimarginare gli squarci ed avere il coraggio di credere, amare e sognare di nuovo, a ricominciare a fidarci del presente, camminare verso il futuro e seppellire il passato nella serenita'. In un anno di specialita' mi sono rassegnata al fatto che chiedersi i perche' e cercare di spiegare le tragedie e le miserie umane e' e sara' per sempre una grandissima, irrisolvibile perdita di tempo. Invece, la vera risposta e' continuare ad apprezzare ed essere riconoscenti per la mancanza di vere imperfezioni nella nostra vita, scrollarsi rapidamente di dosso una luna storta e non ignorare mai che essere felici e' puramente una scelta, un'attitudine, il nostro sguardo sul mondo.

Perche' a certe persone non sia dato di far conoscere un compagno di vita o un figlio a chi ci ha dato la vita e ci ha amati piu' di qualsiasi altra cosa e come nessun altro, restera' per sempre incomprensibile. Sono pero' grata all'uomo che ho vicino che quando valutavamo se valesse o meno la pena andare in Lussemburgo per un weekend per un matrimonio e con l'occasione per una cena con i miei,  mi ha detto i soldi servono per costruire ricordi.
In fondo il tempo serve per costruire ricordi.
La vita stessa non e' altro che un continuo costruire ricordi.
Ricordi che narrano la nostra storia.
Ricordi che come un inconsapevole meccanismo di difesa costruiscono un album e un appiglio a cui aggrapparsi quando una morte prematura ha la meglio sulla vita.